IL RENT TO BUY DIVENTA LEGGE

IL RENT TO BUY DIVENTA LEGGE



Il “decreto sblocca Italia” (D.L. 133/2014, convertito nella L.164/2014) ha introdotto una specifica disciplina civilistica per la forma contrattuale del c.d. “rent to buy”, fino ad ora relegata nell’ambito dei contratti atipici.
Si tratta – come è noto – di contratti di godimento di immobili, stipulati in funzione della successiva alienazione degli stessi. In particolare, secondo la definizione che ne dà l’articolo 23 del decreto, i contratti “rent to buy” sono quei contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato, imputando a corrispettivo del trasferimento i canoni versati, nella misura (totale o parziale) convenuta nel contratto stesso.
La normativa non prevede vincoli, né sul piano soggettivo, né su quello oggettivo: il contratto rent to buy può quindi essere stipulato da qualsiasi soggetto (persona fisica o persona giuridica) e per qualsiasi tipologia di immobile (ad uso abitativo o a destinazione commerciale).
La norma risolve quella che, sul piano civilistico, era fino ad ora la maggiore criticità di questa forma contrattuale: è infatti previsto che il contratto (redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata) è soggetto a trascrizione nei Registri immobiliari, analogamente a quanto accade per i contratti preliminari di vendita, con una efficacia rapportata alla durata del contratto, ma comunque non superiore a 10 anni.
Il legislatore, pur disciplinando diversi aspetti del contratto, ha lasciato ampio spazio alla autonomia delle parti, consentendo la modulazione di molte clausole del contratto in funzione delle specifiche esigenze delle parti contraenti: queste, infatti, sono libere di stabilire la durata della fase di godimento e la parte di canone imputabile a corrispettivo della successiva vendita. Alle stesse è anche consentito introdurre diritti di recesso, clausole penali e/o meccanismi condizionali, nonché prevedere, disciplinandola, la cedibilità della posizione contrattuale.
La norma prevede, inoltre, che il contratto si risolve nell’ipotesi di mancato pagamento dei canoni, ma la fissazione del numero dei canoni insoluti che determina la risoluzione è lasciata all’autonomia delle parti, fermo restando che tale numero non può essere inferiore a un ventesimo del totale. Se non stabilito diversamente, infine, nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente acquisisce interamente i canoni percepiti, a titolo di indennità; nell’ipotesi di inadempimento del concedente, questi è tenuto a restituire i canoni percepiti, maggiorati degli interessi legali.
La norma disciplina anche le ipotesi di fallimento: se a fallire è il concedente, il contratto prosegue e l’azione revocatoria non sarà esperibile se il contratto era stato trascritto (e gli effetti non sono cessati), sempreché il prezzo sia giusto e l’immobile sia destinato ad abitazione principale del conduttore o a sede principale dell’impresa di questi; se a fallire è il conduttore, ove il curatore receda dal contratto, il concedente avrà diritto, oltre alla restituzione dell’immobile, anche ad acquisire i canoni percepiti.

(a cura del Dott. Giovanni PANTANELLA, Consulente Nazionale Fimaa)
 
 
 

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